I dipendenti di Microsoft protestano contro la complicità dell’azienda nel genocidio di Gaza (e contro i licenziamenti nel mondo high tech)

Riceviamo dal compagno Alessandro Mantovani e molto volentieri pubblichiamo questa nota che dà il giusto rilievo alla protesta di un gruppo di alcune decine di lavoratori e lavoratrici della Microsoft (alcuni ebrei) contro la complicità della “loro” impresa nel genocidio dei palestinesi. Questa protesta è avvenuta giorni fa a Redmont negli Stati Uniti, e ha formulato la richiesta di rescindere la collaborazione con gli apparati bellici sionisti.

La nota si allarga poi alla raffica di licenziamenti di massa in corso proprio da parte delle Big Tech in Amerika a seguito della prima larga applicazione dell’IA, un tema su cui è necessario tornare, vista la sua crescente importanza sociale e politica. (Red.)


Merita il massimo rilievo da parte nostra la notizia che nei giorni scorsi, nella sede centrale di Microsoft a
Redmond (Washington), decine di dipendenti (tra cui anche ebrei) hanno dato vita a un presidio, durato
due giorni, per denunciare l‘utilizzo dei servizi cloud Azure di Microsof da parte dell’esercito israeliano.
Ciò in seguito alle inchieste del Guardian e di +972 Magazine, secondo cui l’intelligence israeliana ha
archiviato milioni di conversazioni telefoniche di civili palestinesi. Dati utilizzati per guidare operazioni
militari nei territori occupati.
La protesta, organizzata dal collettivo “No Azure for Apartheid”, malgrado il limitato numero dei
partecipanti, ha un enorme valore simbolico in quanto ci ricorda che l’istinto internazionalista serpeggia
ancora tra i proletari. La piazza antistante al logo Microsoft si è trasformata in un accampamento
ribattezzato “Martyred Palestinian Children’s Plaza”. Con slogan come “Join the Worker Intifada – No
Labor for Genocide” e “Stop Starving Gaza”, i manifestanti hanno chiesto la fine della collaborazione con
il Ministero della Difesa israeliano.
Va sottolineato e denunciato che il presidio si è chiuso con l’arresto di 18 persone, accusate di violazione
di proprietà privata, vandalismo e resistenza all’arresto. Un ulteriore segno, se ve ne fosse bisogno, che la
repressione – alla faccia della “democrazia” – non fa sconti a chi mette i bastoni tra le ruote al genocidio
in corso, e annuncia la prospettiva cui andrà incontro ogni serio movimento di opposizione al sistema
mondiale di oppressione capitalista e imperialista.

Non è la prima volta che i dipendenti Microsoft incorrono nelle ire dell’azienda per le loro proteste filo-
palestinesi: alcuni dipendenti sono stati licenziati per aver interrotto eventi aziendali di alto profilo, come un discorso del CEO Satya Nadella e i festeggiamenti per il 50° anniversario dell’azienda, altri sono stati
allontanati per aver organizzato iniziative interne non approvate, come incontri pro-Palestina. Secondo gli
attivisti, Microsoft avrebbe persino bloccato email contenenti parole come “Palestine”, “Gaza” o
“apartheid”.
Ciò non deve stupire: le grandi società bigh tech, non solo non esitano di fronte al massacro pur di
assicurarsi lauti profitti, ma comprendono bene come il controllo della rete e dell’Intelligenza artificiale,
oltre o costituire posizioni di monopolio economico, sono forme di dominio sociale e politico di enorme
potenza, nei confronti delle quali il proletariato ed i rivoluzionari sono lontanissimi dall’aver apprestato
contromisure in grado di non renderli inermi.
Ma la tecnologia, ed ora in particolare l’IA, non sono solo questo. Sono destinate ad avere, anzi hanno già,
un impatto devastante sull’occupazione. Appena il mese scorso, proprio Microsoft ha annunciato il
licenziamento di circa 9.000 dipendenti, pari a quasi il 4% della forza lavoro globale. Questo si aggiunge
ai 6.000 licenziamenti di maggio e ad altri 300 di giugno, portando il totale a oltre 15.000 posti di lavoro
tagliati in pochi mesi.
Questi licenziamenti non sono isolati: riflettono una tendenza più ampia nel mondo della tecnologia, dove
molte aziende stanno riducendo il personale per investire in automazione, AI e nuovi modelli di business.
Nel solo 2025 Amazon ha eliminato 16.000 posti di lavoro, Google 12.000, META 10.000, IBM 8.000, Intel 30.000, l’indiana Tata 12.000 ( https://www.key4biz.it/ai-settore-tech-oltre-80mila-licenziamenti-
nella-prima-meta-del-2025/543114/ ).

Non si tratta di crisi economica: le aziende stanno registrando profitti record. Il vero motore dei tagli è la
sostituzione del lavoro umano con l’intelligenza artificiale. Ma attenzione, non si tratta semplicemente di
“tagliare il superfluo”: è in corso una riprogrammazione del modo stesso di produzione. Ciò ha
incalcolabili effetti sulla composizione della forza lavoro e del proletariato: le nuove tecnologie non solo
permettono di controllare strettamente lavoratori e processo produttivo, bensì anche di spingere al
massimo la centralizzazione di quest’ultimo senza che sia necessario, come nell’era fordista, una
concentrazione del proletariato nei luoghi di lavoro e nei quartieri operai urbani: grazie alla rete e ai
metodi computazionali super avanzati, il “comando” sul lavoro e la fluidità del processo produttivo possono attuarsi anche con un proletariato frammentato e precario.

Sono, per la prospettiva della lotta di classe, sfide epocali.
Non è certo un caso infatti se, a fronte di una nuova ondata di licenziamenti non si registrano nelle
maestranze reazioni – anche se ve ne sono – all’altezza della situazione.

SOURCE:

https://pungolorosso.com

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